Le intraducibili


Le intraducibili
Breve abbecedario di parole belle e uniche. Quelle che danno un nome a sensazioni o gesti ineffabili per le altre lingue
 

Sappiamo tutti di che cosa si sta parlando, ma il più delle volte ignoriamo che c’è una parola per dirlo. Perciò suona come un abracadabra, una formula magica (o un lampo di poesia) l’espressione che, tutto d’un fiato, nomina ciò che si credeva ineffabile, chiama all’appello e a rapporto situazioni o sensazioni “inaudite” solo perché non ancora registrate con un proprio nome, né ancora messe a verbale nella propria lingua. Quando però manca la parola, dorme la citazione calzante dentro un libro mai aperto, il nome sfugge, c’è sempre modo di andarlo ad acchiappare oltrefrontiera. Gli scozzesi dicono “to tartle” quell’esitazione balbettante e imbarazzata di chi, di fronte al suo interlocutore, è sopraffatto da un vuoto di memoria, dimentica il nome del tizio con cui sta parlando, e magari – circostanza aggravante – deve pure presentarlo a una terza persona che non vede l’ora di farne la conoscenza. Allora cerca invano con gli occhi, schiocca le dita, prova diplomaticamente a stimolare suggerimenti e alla fine non può fare altro che ammettere la sua imperdonabile dimenticanza. Aiuta in questo caso a cavarsi dagli impicci chiamare la pausa di silenzio col suo nome, scusarsi e riannodare il filo della conversazione chiedendosi per esempio se in Scozia capiti più spesso che altrove di incappare in una così comune defaillance. 

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